Denominazione professionale

Vogliamo discutere di denominazione professionale? In vista del trentennale della comunità professionale degli assistenti sociali, tra le tante riflessioni e progettualità in campo, si potrebbe ragionare sulla possibilità di cambiare denominazione alla professione.

Il termine “assistente sociale” è utilizzato da molti decenni per descrivere professionisti che lavorano nel settore sociale con compiti e responsabilità assai delicati e impegnativi. Tuttavia, come in molte altre professioni, il linguaggio e le terminologie evolvono per riflettere meglio le complessità e le sfide della società. Attraverso la fraseologia professionale e la denominazione dei profili si comunica la propria identità, ci si racconta e ci si rapporta all’interno e all’esterno della categoria di appartenenza. L’espressione “assistente sociale” non appare congrua alla professione dei tempi attuali: è stata adottata in un’epoca in cui gli interventi richiesti riguardavano prevalentemente l’assistenza sociale, all’interno di un quadro di vincoli e gerarchie di varia tipologia e natura. Quello di “assistente” è un termine che evoca subalternità, scoraggiante per le nuove leve che si formano nelle università, acquisiscono titoli accademici e maturano legittime aspettative di autonomia e riconoscimento professionale.

Come si potrebbe cambiare?

Ci sono diverse possibilità per aggiornare il termine “assistente sociale” e renderlo più attuale e rappresentativo del lavoro svolto nella società odierna.

Chiaramente qualsiasi cambiamento dovrebbe essere attentamente ponderato e progettato, per evitare confusione o incomprensioni, specialmente in una prima fase. L’importante è che il nuovo appellativo sia in grado di modernizzare l’immagine professionale, rifletta il ruolo, le competenze e la funzione del professionista in un’ottica attuale e comprensibile per il pubblico.

È intuibile quanto sia difficile, soprattutto per le generazioni meno giovani, accettare il cambiamento di denominazione della propria professione, quella di assistente sociale, che ha accompagnato decenni e decenni di attività, formazione, normative, lotte, dibattiti, studi/ricerca. In realtà, non si tratta di rinunciare a tutto questo, assolutamente; si tratta di farsi promotori di una delle funzioni-base degli assistenti sociali: essere agenti di cambiamento. Occorre avere il coraggio di svolgere questa funzione sempre, esserlo davvero, partendo da se stessi.

Siccome le parole possono fare la differenza, sarebbe utile avviare sulla questione terminologica e sulla denominazione professionale, da subito, un dibattito allargato che coinvolga gli operatori tutti, l’Ordine professionale, studiosi e ricercatori, responsabili politici e amministrativi, docenti e studenti. In particolare, potrebbero essere le università congiuntamente alla comunità professionale a farsi promotori del cambiamento di denominazione professionale, perché nuove parole siano indicative di nuovi contenuti e funzioni e anche di un’immagine più adeguata ai tempi contemporanei. Gli studenti, grazie alla loro freschezza e creatività, scevri da condizionamenti affettivi e abitudinari, potrebbero portare alla discussione una gamma di opzioni nuove su cui ragionare.

Ecco di seguito alcuni esempi per avviare la discussione. Per i laureati triennali: “Esperto sociale”, “Consulente sociale”, “Esperto di sviluppo sociale”, “Tecnico sociale”. Per i laureati magistrale: “Esperto di politiche sociali”. Come specificato sono solo esempi. Discutiamone tutti.

Giovanna Testa