Disabilità storia e definizione

Disabilità, storia e definizione: dall’esclusione all’inclusione multidimensionale.

La storia della disabilità è antica quanto quella dell’umanità.

Nell’antica Grecia, ad esempio, una menomazione era considerata sintomo di immoralità e Licurgo in ragione di questo decise che i neonati che esibivano questo difetto dovevano essere lanciati dal Taigeto, catena montuosa del Peloponneso. Nel medioevo erano le streghe le responsabili della nascita di un bambino menomato.


Facendo un grosso salto nel secolo scorso Carrell affermava che “la medicina sbaglia nel cercare di migliorare gli individui di qualità scadente” in concomitanza con Richet che promuoveva il controllo delle nascite per evitare che le persone poco sane procreassero.

Ovviamente tutto ciò fece da preludio al Terzo Reich, durante il quale queste persone inizialmente venivano sterilizzate per poi arrivare ad un vero e proprio genocidio.


Nello stesso periodo storico anche i Paesi Scandinavi, considerati oggi all’avanguardia nella cura dei disabili, promossero leggi volte a migliorare la genetica della popolazione.
Fino agli anni ’50 i disabili vivono esclusi dalla vita quotidiana e solo negli anni ’60 si inizierà a parlare di medicalizzazione e nel ’70 di inclusione.


Fino ad arrivare agli anni ’80, dove si avrà una svolta decisiva e il concetto di Disabilità verrà chiarito e uniformato dall’ Organizzazione Mondiale della Sanità che pubblica la prima Classificazione Internazionale delle menomazioni, delle disabilità e degli svantaggi esistenziali (ICIDH). Con questa classificazione sappiamo che la disabilità è qualsiasi limitazione o perdita delle capacità (a causa di una o più menomazioni) di compiere qualsiasi azione, ponendo l’accento su come queste limitazioni diventino un fenomeno sociale, prima ancora che medico-biologico.


Con gli anni ICIDH ha mostrato dei limiti, non considerando che la disabilità può essere temporanea e tralasciando che le limitazioni sono condizionate anche dai fattori ambientali.
D’altronde già nella metà degli anni ’60 nascono in ambito del servizio sociale le prime teorie sull’importanza dell’ambiente sociale, parlando di adattamento inteso come modifica dell’ambiente per soddisfare i bisogni (Helen Perlman, 1965).


La nuova classificazione ha per titolo “Classificazione Internazionale del funzionamento (ICF), della disabilità e della salute”.
Il testo è stato approvato dalla 54° Word Health Assembly il 2 maggio del 2001 e costituisce lo strumento adeguato per fornire una base scientifica per lo studio dell’interazione tra salute e ambiente.
La nuova classificazione tiene conto delle funzioni corporee (funzioni mentali, funzioni sensoriali, dell’eloquio, funzioni del sistema cardiovascolare, ematologico, immunologico, respiratorio, digestivo, metabolico, endocrinico, urinario, riproduttivo, funzioni muscoloscheletriche e cutanee), delle strutture corporee (del sistema nervoso, sensoriali, dell’eloquio, cardiovascolare, strutture collegate al movimento…), delle attività e partecipazione (apprendimento, compiti, comunicazione, mobilità, cura della propria persona, vita domestica, relazioni familiari e sociali) e dei fattori ambientali (prodotti e tecnologia, ambiente naturale, supporto e relazioni, servizi, sistemi e politiche).


Questo strumento, ribaltando le concezioni precedenti di disabilità come “abilità residua” prende in considerazione, quindi, oltre che il corpo anche il contesto sociale, cercando di capire se pesa positivamente sul soggetto disabile, valutando anche l’integrazione e la partecipazione.5
È giusto ricordare che è stata proprio L’OMS a formulare il concetto di qualità di vita, riferito alle persone con disabilità, quindi non si può tener conto solo di alcuni fattori escludendoli altri, perché la vita di tutte le persone è influenzata dal benessere oltre che psico-fisico anche sociale e materiale.


Nel 2004, il concetto di disabilità viene rivisitato ulteriormente e attualmente sappiamo che “la disabilità è la conseguenza o il risultato di una complessa relazione tra le condizioni di salute di un individuo, i fattori personali ed ambientali che rappresentano le circostanze in cui vive l’individuo”(OMS 2004).


L’orientamento alla qualità nei servizi sociali europei ha avuto un notevole sviluppo negli ultimi 15 anni, cercando di dare maggior consolidamento alla formazione delle risorse umane (in parte determinata dalla scarsità delle risorse economiche).
Nel dibattito sulla qualità nei servizi sociali italiani, permangono irrisolti alcuni problemi, soprattutto sul fronte della sperimentazione come ad esempio valutare l’efficacia di un servizio o di una attività o quello di far coincidere la valutazione della qualità con una certificazione.6
Rispetto alla natura della disabilità, spesso è difficile stabilire con esattezza la quota innata e quella ambientale, che spesso concorrono a determinare il futuro quadro clinico; da una parte possiamo riscontrare la determinante biologica, dall’altra la quota ambientale, che a sua volta può consistere in una carenza di stimoli.


Attualmente viene utilizzata una Scheda di valutazione multidimensionale per i disabili (SVAMDI), approvata dall’OMS, strumento valutativo che prende in considerazione tutti i fattori proposti dall’ICF.
Questo strumento valutativo è stato adottato in tutte le ASL d’Italia e la valutazione avviene tramite il lavoro di équipe, quindi coinvolgendo varie figure professionali così da avere un quadro multidimensionale preciso e individuare specifici interventi da effettuare. L’assistente sociale partecipa a tutti gli interventi e di solito è lei che attiva gli altri servizi presenti sul territorio.
Oltre le funzioni burocratiche è importante per la professione sociale recuperare sia il benessere fisico del paziente disabile, che il benessere emotivo-affettivo e l’armonia della sfera familiare.


È opportuno sottolineare, ancora una volta, che i problemi della disabilità rappresentano un terreno di massima integrazione tra i diversi settori di intervento e le diverse discipline, perché l’handicap di una persona incide su tutte le sue dimensioni di vita: la sfera degli affetti, la dimensione intrapsichica e quella fisica, la vita di relazione, la dimensione lavorativa, le esigenze alloggiative, i bisogni di conoscenza ed istruzione, la dimensione comunicativa, ecc.
A ciascuno di questi ed altri aspetti corrispondono altrettanti diritti affermati, riconosciuti e sanciti socialmente, scientificamente e giuridicamente ed il servizio sociale professionale ha il compito di far esercitare concretamente questi diritti, soprattutto nelle condizioni di svantaggio.